lunedì 7 aprile 2014

Una situazione

Ero sul bordo del marciapiede, pioveva ed avevo quel fastidio allo stomaco, lo stesso che mi prende quando sono sull'altalena nella fase di discesa in avanti. Ho imparato ad andare sull'altalena tardissimo, prima di allora muovevo scoordinatamente le gambe in avanti e indietro senza nessun risultato utile, ad oggi però so andare sull'altalena e so pure lasciarmi un bel po di cose alle spalle, da solo, perché la vita si vive da soli.
La pioggia cadeva su tutto, era una pioggia senza pretese, scendeva mio malgrado come avevo imparato che fanno tutte le cose intorno - mio malgrado - eppure sentivo che potevo prendermene un po' per me quella mattina; non tutte, ma alcune gocce erano per me: le sentivo più pesanti, più decise, più incisive come piccoli timbri delebili che mi si stampavano sulle spalle. 
Mi passarono davanti tre persone che ridevano, ridevano fragorosamente e un po' sfacciate, rimasi un poco turbato, poi un campanile a punta battezzò un'ora imprecisata di un giorno qualsiasi trafiggendo per un attimo il cielo con la guglia affilata, e da quel varco piovve ancora più fittamente come se il cielo fosse stato ferito.
Abbassai lo sguardo, i taxi neri passavano come gli altri giorni, con quei fari tondi che pareva sorridessero e pure quelli nella loro unicità avevano qualcosa per me, il loro sorriso, che si rifletteva nella strada umida come uno specchio, come gli occhi solitamente sono. 
Non ricordavo esattamente cosa facevo li, non ricordavo affatto se dovessi partire o se fossi già arrivato o se - piuttosto - ero solo in attesa di un altra destinazione, ma per il momento non era importante e la pioggia pareva essersene accorta perché, noncurante, pioveva su tutto, sulle mie spalle, sulle risate sfacciate dei passanti, sul campanile affilato, sui taxi neri, sul marciapiede, sulla strada-specchio; ed io ero li, ero parte di quella cosa, non ancora iniziata e non già conclusa, ci ero invischiato fino al collo e anzi forse più.
Feci un passo in avanti e il mondo barcollò per un attimo, non resse quel mio movimento o forse si rese conto che in quel sistema che mi aveva creato intorno io ero l'unità viva e in grado di cambiare le dinamiche e le conseguenze. Non avrebbe retto ancora a lungo, quel mondo lì, o meglio, sarebbe stato scombussolato a dovere.

Marcello D'Onofrio


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